Orgogliosamente contafagioli!

 

E’ ufficiale: contafagioli non può più essere considerato un termine dispregiativo con il quale riferirsi alle professioni contabili!

[per i curiosi Bean counter è l’espressione tipicamente anglosassone con cui si enfatizza l’attitudine, tipica dei bravi contabili, di prestare estrema attenzione a singoli dettagli a scapito, talvolta, della capacità di comprendere il quadro generale e l’opportunità di non ridurre ogni decisione a valutazioni puramente finanziarie di corto respiro]

Faremo tesoro di questa nuova consapevolezza nel preparare i contenuti del Master ACEF “Cose da professionisti”, che ritorna su questi schermi a partire dall’8 novembre. Un’esperienza che consiglio in particolare a tutti i colleghi che sono in fase di riposizionamento o stanno avviando nuovi progetti professionali.

Ne abbiamo parlato anche mercoledì 19 ottobre al nostro intervento nell’ambito del 6° Festival dello Sviluppo Sostenibile, ecco qui il video del webinar:

La reportistica integrata di sostenibilità e l’informativa non finanziaria si fondano infatti sulla capacità di far evolvere la tecnica contabile per intercettare e rappresentare in maniera accurata, secondo metriche e metodologie condivise, grandezze che non usano l’euro come unica unità di misura.

Si tratta di veri fagioli da contare da parte di chi sa come farlo bene, insomma… e si tratta di capire molto in fretta che gli strumenti di business intelligence non vanno usati solamente per costruire budget e fare analisi degli scostamenti. I dati rilevanti per la gestione aziendale e l’analisi dei processi hanno natura eterogenea, e per essere davvero utili dovrebbero essere intercettati là dove nascono, ben prima di trasformarsi in euro (grandezze numerarie per i puristi..).

Alle varie transizioni in corso, quella digitale, quella energetica, quella ecologica, … si deve necessariamente aggiungere la transizione culturale, che costituisce la premessa logica e il prerequisito di ogni evoluzione.

I Dottori Commercialisti, per la posizione che occupano nel sistema economico, possono fungere da acceleratore e moltiplicatore. Se come professionisti siamo alla ricerca del nostro purpose, per usare un termine molto caro a chi si occupa di ESG, qui ne abbiamo sotto il naso uno decisamente bello grosso…

Al Convegno nazionale “Il Valore della Sostenibilità” organizzato dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili che si è tenuto la scorsa settimana a Bologna (sì proprio la mia Bologna!) si è parlato soprattutto di necessità di cambiare l’approccio per ritrovare la connessione con il valore (e con i valori). E se a qualcuno che legge da un po’ di tempo le mie riflessioni improduttive questo ricorda “l’innovativo strumento per la raccolta dell’acqua piovana” che abbiamo presentato in settembre a FARETE… mi fa piacere, perché il senso è proprio quello!

Ci piace l’idea di far parte di quel piccolo manipolo di colleghi avanguardisti che uno studio commissionato a Nomisma dal CNDCEC definisce in maniera suggestiva le sentinelle della professione. Chi sono queste sentinelle? Banalmente sono i colleghi che intercettano per primi i cambiamenti in atto e investono per primi in formazione specialistica e nuovi metodi di lavoro per consolidare competenze distintive da proporre a clienti e colleghi.

Solo il 9% di un campione già molto selezionato di commercialisti (ovvero i 1.162 rispondenti all’osservatorio Nomisma) può offrire oggi consulenza “vera” in tema di sostenibilità. Stiamo parlando grosso modo di circa un centinaio di Studi in Italia, che potremmo portare a un migliaio assumendo che il campione intervistato sia pienamente rappresentativo della categoria (si tratta tuttavia di una assunzione forte, che non userei mai e poi mai in una perizia!).

Per stare al territorio bolognese, questo dato circoscrive l’attuale offerta di consulenza in ambito ESG a una decina di Studi professionali o poco più.

D’altra parte la stessa ricerca Nomisma evidenzia come solamente il 9% delle imprese sia motivato ad adottare (nel breve) azioni e strumenti per implementare la sostenibilità in azienda.

Non mi dilungo nel ripercorrere la cronaca dei temi trattati nei due giorni di convegno, perché su www.commercialisti.it lo hanno già fatto dei veri giornalisti.

A volo d’angelo:

1. Metriche standard.

Per arrivare a riferimenti paragonabili ai principi contabili e di revisione servirà tempo. Siamo ancora nella fase di assestamento. A mio modo di vedere questo significa che oggi ci si deve concentrare sulla sostanza più che sull’estetica, ovvero privilegiare gli interventi ad alto impatto che riguardano principalmente il potenziamento degli aspetti “Governance” (leggasi assetti organizzativi, amministrativi e contabili) e “Social”, perché su quelli si cade sempre in piedi a prescindere dal punteggio ottenuto con i diversi standard applicabili.

Detta in altre parole, specie per le PMI, c’è tantissimo lavoro da fare sui “fondamentali” prima di preoccuparci di ottimizzare le vanity metrics ESG per primeggiare con i diversi algoritmi di calcolo. Ci sarà tempo per pensare al ranking e a come scalare le classifiche, e chi ha adottato un approccio “solido” presto o tardi emergerà.

2. Assurance.

Per chi voglia dedicarsi professionalmente alla asseverazione dei processi di rendicontazione di sostenibilità, magari riconvertendo la propria esperienza di revisore legale, si aprono indubbiamente praterie sterminate di opportunità. Se vi interessa giocare in questo ambito in futuro potremo collaborare con grande facilità, perché io invece sono convinto che il mio Studio possa dare il meglio di sé nella consulenza strategica a monte del processo di rendicontazione, e che sia bene tenere le due fasi di attività ben distinte.

3. Impatto sulla finanza.

Le imprese potranno continuare a ottenere credito a condizioni convenienti senza dare alla banca informazioni (attendibili) sulla propria sostenibilità? La risposta è una sola: NO.

In questo ambito non si improvvisa e non sono ammessi ritardi. Per evitare brutte sorprese sul fronte del merito creditizio serve partire subito con la revisione degli assetti amministrativi, contabili e organizzativi (per questo fine specifico sovvertirei le priorità e l’ordine del codice civile al quale ci siamo abituati). Puntiamo come prima cosa al cuore della Governance aziendale e solo dopo allarghiamo ad altri obiettivi, perché le politiche green se non vengono ben contestualizzate sono destinate ad avere un impatto risibile sull’accesso al credito.

4. Presidio della scena internazionale.

Il Presidente CNDCEC Elbano De Nuccio ha sottolineato l’importanza di essere vigili come categoria sull’evoluzione degli standard europei e mondiali per evitare alle imprese italiane di dover “subire” regolamentazioni che mal si adattano al nostro tessuto produttivo. Qui francamente penso che i singoli professionisti come noi possano far poco, se non far sentire vicinanza e dare piena legittimazione a chi ci rappresenta. Questo potrebbe ad esempio tradursi nella maggiore attenzione verso le PMI, molto più concentrate in Italia che in altri Paesi altamente rappresentati nei consessi internazionali. Diversamente le PMI rischiano di essere schiacciate sotto il peso di adempimenti sovrabbondanti. Si tratta di evitare il ripetersi anche nell’ambito CSR (Corporate Social Responsability) di regolamentazioni di fonte europea o internazionale che guardano alle esigenze delle grandi corporation e non funzionano altrettanto bene per le PMI. Da questo punto di vista fa ben sperare la presenza al Convegno di Bologna dei nostri vertici mondiali (IFAC) ed europei (ACE).

Altro tema molto caldo da presidiare riguarda il differente approccio alla sostenibilità che gli USA e la UE stanno portando avanti, dove gli USA focalizzano l’attenzione su come i fattori esterni impattano sul valore dell’impresa (v. Damodaran, ne ho parlato qui) mentre l’UE in modo più ambizioso punta anche a misurare il controvalore delle esternalità che l’impresa apporta all’ambiente nel quale opera (qua sono andato sul tecnico, per approfondire suggerisco l’intervista alla prof. Chiara Mio che pubblicheremo a brevissimo su ACEF).

Proviamo a fare un passo in più: cosa manca ancora per innescare il cambiamento? Come arrivare finalmente alla sostanza, accantonando definitivamente campagne di comunicazione che hanno più a che fare con il desiderio/necessità di cavalcare l’onda green da parte degli uffici marketing e comunicazione piuttosto che accogliere la sostenibilità nella stanza dei CEO e dei CFO?

Come fare a rendere attuale e urgente un cambiamento destinato a dare ritorni in un orizzonte di medio/lungo periodo quando le imprese hanno la seria preoccupazione di non superare l’immediato per via dei rincari energetici, della mancanza strutturale di materie prime (e rincari), della tensione finanziaria e dell’incremento dei costi di logistica?

Dopotutto, se è vero che nel lungo periodo saremo tutti morti, qua c’è il rischio concreto che, in termini economici, lo saremo già nel breve. Ragionando così tuttavia non ne usciamo, perché se restiamo alla finestra non arriverà mai il momento giusto per avviare il cambiamento.

Dunque, che fare?

La mia proposta, che poi coincide con la visione dello Studio, è di fare della sostenibilità, nelle sue tre dimensioni di Governance, Social e Environment, il criterio guida dell’azione imprenditoriale nella prospettiva di aumentare il valore dell’impresa. Rifuggiamo scorciatoie e cure palliative perché ritornano sempre come boomerang. Definiamo piuttosto un piano di intervento che sia caratterizzato da azioni concrete e attribuiamo priorità a quelle che impattano sul maggior numero di equilibri aziendali, aggiungendo ai classici equilibri finanziario, economico e patrimoniale i più nuovi governance, social ed enviromental.

Aiutiamo le nostre imprese a perseguire con determinazione il proprio purpose, tenendo bene a mente che nell’esperienza delle PMI italiane lo scopo non coincide mai con il solo obiettivo del profitto a tutti i costi. I nostri imprenditori sono da sempre abituati a “restituire” e farsi carico di generare oltre che ricchezza anche benessere; dobbiamo semplicemente aiutarli a capire come continuare a farlo in un mondo che non è più né piccolo né antico.

Il nostro purpose, stringi stringi, è questo.